La Cannabis ed i Fitocomplessi

La Cannabis ed i fitocomplessi.


La Cannabis sta vivendo anni di fermento ed è ormai riconosciuta come una pianta medicinale anche in un paese proibizionista, sin dal secondo dopo guerra (1954), come l’Italia. A riguardo è utile valutare la definizione che l’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) da per una pianta medicinale : “ogni vegetale che contenga, in uno o più dei suoi organi, sostanze che possono essere utilizzate a fini terapeutici o preventivi, o che sono precursori di sintesi chemio-farmaceutiche” – (1980).


Nel nostro caso, gli organi d’interesse sono i fiori, o meglio le infiorescenze, e per sostanze utili ai fini terapeutici intendiamo i cannabinoidi; ma andando per gradi, è importante partire da un’analisi di tipo botanico, prima di addentrarci nel campo delle principali sostanze attive.


Appartenente alle angiosperme dicotiledoni, all’ordine delle Urticales ed alla famiglia delle Cannabaceae, la Cannabis è dioica (con organi femminili e maschili presenti su piante diverse), esistono, altresì, anche varietà monoiche utilizzate nell’industria per la produzione di fibra, olio e semi, ma con scarso contenuto di alcuni cannabinoidi come il THC. Gli esperti del settore ed i botanici, ritengono, oggigiorno, che si tratti di una specie unica. La Botanica sistematica è una scienza a volte complessa ed in questo caso è meglio chiarire le idee. La classificazione della Cannabis sativa è stata attribuita da Linneo nel 1753, quella della Cannabis indica è dovuta a Lamarck nel 1783, ma oggi sarebbe da considerarsi erronea. Studi di genomica condotti al fine di differenziare queste due sub-specie, hanno portato in evidenza il concetto di clima e microclima ai fini della produzione di resina, ricca di metaboliti attivi: solo nei climi caldi crescono piante che producono abbondante resina. I semi di queste piante, coltivati nei climi freddi, o in condizioni che non garantiscano temperatura ed umidità idonee, danno piante che, in poco tempo, perdono la capacità di produrre resina. Proseguendo con gli epiloghi storici, nel 1924, il botanico sovietico D.E Janichewsky classificò la Cannabis in tre diverse specie: sativa, alta fino a tre metri e dalla forma piramidale; indica, più bassa e con un maggior numero di rami e foglie; ruderalis, alta al massimo mezzo metro e priva di ramificazioni .Tuttavia, nel 1976 due studiosi canadesi, i cui nomi erano Small e Cronquist, hanno confermato la tesi di Linneo proponendo una suddivisione che prevede una sola specie di Cannabis sativa con due sottospecie (subs.) indica, tipica dei paesi settentrionali, utilizzata per ottenere fibra ed olio; sativa, tipica dei paesi caldi e ricca in resina e THC . Quest’ultima classificazione risulta essere quella seguita oggi. La pianta, originaria dell’Asia centrale ed occidentale, ha fusti eretti di 1-4 metri, più o meno ramificati ed ispidi. Presenta foglie per lo più palmato-composte con 5-7-9 segmenti ineguali, lanceolati, ellittici e dentati.
In futuro sarà interessante valutare l’indice stomatico ai fini di una classificazione più approfondita tra le varie sub-specie. Questo è un valore percentuale , ottenuto dal calcolo , attraverso microscopio, del numero di stomi presenti su una quantità di cellule epidermiche, in superficie fogliare data. Sono inoltre presenti anche peli ghiandolari. Queste ghiandole sono poche sulle foglie e molto numerose sulle brattee delle infiorescenze femminili. I fiori maschili sono riuniti in racemi ascellari, con 5 sepali e 5 stami; quelli femminili in spighe glomerulate e disposti a coppie all’ascella di una brattea. Il frutto è una noce di 2,2-4 mm di lunghezza, liscia e grigiastra. La resina, secreta dalla ghiandole pilifere, dette tricomi.


La Cannabis è usata come medicamento fin dall’antichità, ne è una testimonianza la sua presenza in reperti associati alla cura degli ammalati , in tombe funerarie, è rappresentata in alcuni dipinti ed addirittura è stata rinvenuta in alcuni graffiti preistorici. Chiaramente le piante officinali, fanno parte di una cultura millenaria, fatta di credenze popolari e tradizioni tramandate di generazione in generazione che nella medicina moderna hanno spesso trovato conferme e validazioni. Gli studi più importanti sono datati 1964 e portano la firma illustre dell’ Dott. Raphael Mechoulam, il padre del THC, a cui si deve la scoperta del Sistema Endocannabinoide e l’isolamento dei principali cannabinoidi contenuti nella Cannabis.


Nella Cannabis non esiste un solo principio attivo, bensì un fitocomplesso (concetto ampio e centrale negli studi terapeutici) le cui attività biologiche, dovute alla sinergia dei componenti, non sono riconducibili ad un costituente singolo. Sono stati evidenziati più di 400 composti differenti: un olio essenziale, flavonoidi, zuccheri, acidi grassi, composti fenolici, composti azotati. I terpeni (circa 140) ed i flavonoidi, per esempio, possono aumentare il flusso sanguigno cerebrale, stimolare l’attività corticale, debellare i patogeni respiratori e, da ultimo, agire da antinfiammatori (Mc Partland J. M., Russo E. B. 2001). La Cannabis contiene un elevato numero di terpeni presenti in molte altre piante, come ad esempio: eugenolo, limonene, mircene, umulene, ocimene, terpinolene, pinene, cariofillene ed elemene. Per quanto concerne i flavonoidi citiamo i più importanti: apigenina, luteolina, quercetina, kampferolo, cannaflavina A e B (queste ultime due sono specie specifici). I più interessanti per attività ed interesse medicinale rimangono comunque i cannabinoidi, presenti sulle foglie apicali e sulle brattee delle infiorescenze femminili dove sono situate le ghiandole contenenti la resina. Chimicamente, i cannabinoidi sono tutti terpenoidi, cioè molecole apolari caratterizzate da bassissima solubilità in acqua. La loro azione è basata sull’interazione con dei recettori situati in varie regioni dell’organismo, dai neuroni, all’endotelio vasale, al sistema immunitario. Sono stati individuati circa 70 tipi di cannabinoidi naturali differenti, detti fitocannabinoidi, tutti originati a partire dal cannabigerolo (CBG). Va’ precisato che i cannabinoidi vengono sintetizzati dal metabolismo secondario della pianta come acidi inattivi e sono prodotti dalla pianta per lei. Si può dire quindi che la pianta li sintetizzi in forma inattiva. E’ grazie alla decarbossilazione termica (es. la combustione) che, per esempio, si giunge ad ottenere ∆-9-THC in forma attiva da ∆-9-THCA inattivo (delta-9–tetraidrocannabinolo acido). Per questa ragione i componenti attivi della Cannabis sono tre volte più potenti se la droga è inalata (o riscaldata) piuttosto che ingerita. (Hazekamp A. Dr. 2008-2009). Questo fenomeno è semplicemente un processo di decarbossilazione, di cruciale importanza per i preparati ad uso medico nel settore farmaceutico.


Precursore del THC è il CBD (cannabidiolo). Il CBD, privo di effetto psicotropo e con bassa attività per i recettori CB1 e CB2, è un miorilassante, sedativo, ansiolitico, antinfiammatorio, antiepilettico ed antiasmatico (Angelucci A., Averni A. 2002). Il CBD agisce sull’intensità e sulla durata dell’effetto del THC. Inoltre, migliora l’attività antinfiammatoria ed analgesica del THC (Longo R. 2004). Il rapporto CBD/THC è dunque molto importante poiché determina l’azione psicoattiva della pianta di Cannabis con la quale si ha a che fare ed in genere può alterare notevolmente gli effetti della droga. Varietà differenti di Cannabis possono avere differenti concentrazioni di singoli cannabinoidi. Le moderne tecniche di coltivazione consentono di selezionare varietà con concentrazioni standard di principi attivi , come quelle medicinali prodotte dalla Bedrocan BV in Olanda o nello stabilimento militare chimico-farmaceutico di Firenze in Italia.


Ad ogni modo è complicato parlare dei singoli componenti della Cannabis come singole entità, sia perchè gli studi a riguardo sono carenti, sia perché già esiste qualche elemento scientifico a favore del fitocomplesso. Purtroppo, in molti stati è difficile portare avanti ricerche scientifiche di settore per analizzare queste lacune che la cannabis ad oggi ci lascia. Possiamo però sperare di ottenere qualcosa di positivo dall’ultima proposta di legge che, passata in parlamento nel mese di Ottobre, seppur privata di punti e considerazioni importanti (l’autocoltivazione per i malati ad esempio), è ora al vaglio del senato. In essa c’è un articolo che prevede fondi per la ricerca universitaria e clinica , in modo da poter arginare il gap sulla nebulosa di conoscenze che ancora ci attanagliano intorno all’argomento Cannabis.


Ricordiamoci però che, al di là del lato scientifico e tecnico, questa è una pianta naturale e così va compresa e trattata.


Articolo a cura del Dott. Domenico Pontillo


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